venerdì 21 marzo 2014

Il perchè dell'arretratezza digitale italiana

L'ANALISI

Il media continuano a parlare di innovazione e digitalizzazione e di banda larga ma senza approfondire opportunamente il problema.
Il vero analfabetismo digitale non parte in realtà dal basso ma probabilmente regna tra le fila della politica che non conosce una visione di sistema reale e pecca nel non aver ancora adottato un metodo analitico efficiente per risolvere il grande progetto di una digitalizzazione  strutturale nazionale efficiente e dell' accrescimento della alfabetizzazione digitale nazionale conseguente ad essa.

Gli applicatori dell'Innovazione

Il recente studio Istat Noi-Italia ha determinato che l’arretratezza sull’utilizzo del digitale in Italia è da considerarsi un fenomeno permanente e patologico, che richiede, per ottenere una inversione di tendenza azioni di governo centrale, regionale  e locale combinate e coordinate in segmenti d'azione convergenti nelle concause del problema.
Fino ad oggi la causa del arretratezza è stata attribùita al basso consumo di tablet di smartphone o di notebook ed è stato ritenuto che non ci fossero invece a monte problemi specifici sulla caratterizzazione sociale italiana.
Tentiamo ora di riproporre una breve analisi che dimostri la vera radice dei problemi.
La prima precisazione va fatta distinguendo tra analfabetismo digitale (e quindi incapacità di utilizzare manualmente  un dispositivo -cellulare, smartphone, computer, ..) e analfabetismo informatico, inteso come mancanza di competenze mentali logiche schematiche, relazionali, statistiche o grafiche e quindi incapacità di “saper utilizzare con dimestichezza e spirito redazionale un lavoro digitalizzato.
Oltre a ció sussiste l' incapacità quindi a navigaere per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare dati utili lavorando in gruppo partecipando a reti collaborative tramite Internet.
Il focus del sistema di interventi è da questo punto di vista volto solo sul versante dell’alfabetizzazione digitale, mentre i due problemi vanno di pari passo e ormai anzi non sono quasi più distinguibili.

Le competenze digitali della popolazione

Si rende inotre necessaria una segmentazione della popolazione italiana rispetto a quattro livelli di competenze sul digitale operativa:
chi non ha mai utilizzato Internet (analfabeti digitali totali);
chi utilizza Internet sporadicamente (es. non negli ultimi 3 mesi);
chi ha utilizzato Internet negli ultimi 3 mesi ma non è in grado di utilizzare i servizi più comuni su Internet (interazione con le pubbliche amministrazioni, home banking, pagamenti elettronici) e quindi non con un approccio attivo (possiamo chiamarli “analfabeti digitali funzionali”);
chi utilizza Internet anche per i servizi più comuni (che nel framework europeo DIGICOMP corrisponde ad un livello almeno minimo su tutte le dimensioni della competenza – informazione, comunicazione, creazione di contenuti, sicurezza, problem-solving) .
Rispetto ai dati più recenti disponibili (prendiamo come riferimento organico i  dati Istat “Cittadini e Nuove tecnologie”, elaborati secondo i criteri appena esposti)
  • la prima classe ha una dimensione del 37% nella popolazione 6-75 anni;
  • la seconda classe ha una dimensione di circa il 13% sulla popolazione 6-75)
  • la terza classe ha una dimensione di circa il 24% della popolazione 6-75 anni;
  • la quarta classe ha una dimensione che può essere considerata intorno al 26% della popolazione 6-75 (percentuale che sale a un terzo della popolazione 14-75).
  • La dimensione dell’analfabetismo digitale da contrastare (analfabeti totali più gli analfabeti funzionali) è quindi di gran lunga più elevata di quella spesso diffusa dai rapporti (siamo a circa il 75% della popolazione 6-74 e 66% della popolazione 14-75), e quindi il fenomeno da affrontare è molto complesso.
  • Il parallelismo e la correlazione con l’analfabetismo funzionale sono determinanti per la nostra analisi. Non è un caso, infatti, che siamo in presenza di un aumento dell’analfabetismo funzionale, che si assesta intorno al 50% della popolazione italiana.

L’analfabetismo funzionale può essere considerato anche un fenomeno correlato strettamente all’analfabetismo digitale, a tal punto che un intervento specifico di alfabetizzazione digitale deve necessariamente comprendere anche l’area della literacy funzionale.
Sta di fatto che un così forte analfabetismo funzionale negli adulti determina un ostacolo culturale considerevole nell’approccio all’apprendimento di una nuova grammatica e di nuovi strumenti, perché determina di fatto un approccio al digitale prevalentemente passivo e da spettatore, certamente non consapevole.

Tipologia di cause e approccio di analisi 

I quattro segmenti che abbiamo individuato permettono di fornire una base importante per l’identificazione di interventi differenziati, e l’analisi di dettaglio consente di entrare nel merito della composizione di ciascuna classe in termini di età, area geografica, livello economico, etnia, genere, così da comprendere come incidano fenomeni certamente correlati come l’emarginazione sociale (per ragioni di devianza; per disabilità; per mancanza di lavoro e/o di reddito minimo sufficiente; per difficoltà di linguaggio).
Il passo successivo è di considerare prima di tutto le condizioni mancanti, e quindi le cause visibili ed emergenti che favoriscono l’analfabetismo digitale. Si tratta di cause che anche dalle interviste e dalle rilevazioni sull’uso di Internet possono essere riscontrate in modo chiaro. Dalla rilevazione Eurostat del 2013 si evince ad esempio che per gli italiani le principali ragioni per il non utilizzo di Internet sono:

·      la mancanza di competenze digitali (38%, poco superiore alla media UE);
·      la mancanza di interesse-motivazione (27%, molto inferiore alla media UE del 47%);
·      i costi per l’accesso e per l’equipaggiamento (21% molto inferiore alla media UE del 32%).

Più basse le percentuali relative ad altri fattori come la privacy e la sicurezza.
Dall’analisi della popolazione utente di Internet (vedi sempre la rilevazione Istat “Cittadini e Nuove tecnologie”) si rileva al contrario che sono elementi maggiormente differenzianti:

·      il livello di istruzione più alto;
·      la condizione occupazionale (dirigente più che impiegato più che operaio più che disoccupato);
·      il genere (maschi più che femmine);
·      l’età (giovani più che anziani e famiglie con minori);
·      l’area geografica (ma solo per gli adulti: a decrescere dal Nord al Sud).

Questi elementi connotano anche  i contesti tipici dell’alfabetismo funzionale.
In più, per l’alfabetismo digitale gioca un ruolo importante la presenza di una infrastruttura digitale abilitante e stimolante.
Secondo Alfonso Molina, docente di Strategie delle Tecnologie all'Università di Edimburgo e direttore scientifico della Fondazione Mondo Digitale, le cause dell’analfabetismo digitale italiano vanno ricercate nella “mancanza di leadership”, espressa a più livelli:
“leadership dei governi, che non hanno avviato politiche di sistema per l’analfabetismo digitale, non hanno dato una visione strategica, una direzione di intervento;
leadership dell’industria, che ha determinato una scarsità di investimenti sulle infrastrutture e anche sui servizi disponibili sulla rete;
leadership del sistema educativo, per cui l’educazione non è una priorità come negli altri Paesi e manca quella cultura diffusa indispensabile oggi”.
Ed è proprio la mancanza di un approccio al sistema Paese, secondo Molina, che fa sì che le iniziative di eccellenza, che ci sono, non riescano ad essere realmente efficaci. Per questo è necessario prima di tutto un cambio culturale.
Sintetizzando, emergono come cause principali dell’attuale condizione di analfabetismo digitale:
la mancanza delle condizioni strutturali necessarie (a livello di infrastrutture digitali, di copertura totale della popolazione con la banda larga e ultralarga);
l’analfabetismo funzionale e comunque la mancanza di una cultura di base, figlia dell’assenza di una politica per lo sviluppo dell’educazione;
la mancanza di motivazioni  all’utilizzo di Internet (“non lo uso perché non mi serve”) o dei servizi (“uso Internet ma non l’home banking perché faccio pochi movimenti”).
Questa mancanza, secondo Laura Sartori, esperta delle tematiche relative al divario digitale e docente di Sociologia all’Università di Bologna è “direttamente collegata alla scarsa conoscenza delle nuove tecnologie, al ruolo dei media che rimandano più gli aspetti negativi che positivi della rete.
In più, noi abbiamo livelli di literacy (non legate alle ict) più bassi rispetto alla media OCSE e questo influisce sicuramente sulla scarsa motivazione a adottare nuovi strumenti, come internet”.
Secondo Malcom Knowles gli adulti maturano il bisogno di essere autonomi, di utilizzare la loro esperienza di apprendimento, di organizzare il loro apprendimento attorno ai problemi reali della loro vita (il bisogno di conoscere, il concetto di sé, il ruolo dell’esperienza, la disponibilità ad apprendere, l’orientamento ad apprendere, la motivazione). 
D’altra parte, la mancanza di investimenti delle imprese determina anche una scarsità di offerta di servizi che non motiva all’utilizzo.  Pieno circolo vizioso.
Come superare queste mancanze? La risposta richiede di approfondire l’analisi sul perché sono ancora così forti.
Possiamo provare a dare alcune risposte elencando i fattori di ostacolo principali:
gli interessi economici contrari, che riguardano diverse aree, (vedi “I Nemici della rete”)
dagli operatori telefonici che vogliono rallentare la spinta agli investimenti sulla banda larga (senza la certezza di un ritorno a breve) per sfruttare al meglio le infrastrutture esistenti,
agli editori, non ancora in grado di attuare un modello di business attraverso la rete, 
agli operatori del mercato televisivo, che puntano a rallentare lo sviluppo della rete per salvaguardare il business attuale, agli intermediari di servizi, che poggiano il loro business sulla presenza di persone non in grado di accedere direttamente ai servizi online, agli operatori di audiovisivi, che anche sull’inadeguatezza di banda poggiano la speranza di limitare i download.
il blocco esercitato della classe dirigente (economica, sociale, politica), che, in gran parte popolata di analfabeti digitali, punta a resistere ad un cambiamento che potrebbe travolgere gli equilibri e che comunque rischierebbe di portare ad una situazione che la classe attuale non sarebbe in grado di gestire.
Classe dirigente che, nel suo analfabetismo, enfatizza il timore di questo “altro” sconosciuto, di cui non comprende le regole e le dinamiche, e quindi reagisce con ogni sorta di anatema, scudo, esorcismo;
la disabitudine generalizzata nel nostro Paese alla gestione del cambiamento e alla progettazione di medio-lungo termine, 
alla visione del particolare e non dell’interesse generale, che ha portato in questi anni all’abbandono di splendide opportunità industriali (vedi il caso dell’elettronica Olivetti) perché visionarie e rivoluzionarie e non conservatrici della pratica consolidata e rassicuranti.
Questo ha prodotto di fatto la mancanza di una spinta programmatica sia sul fronte delle infrastrutture (per cui ancora non è presente un piano di diffusione della banda ultralarga) sia sul fronte generale del digitale nell’economia
(es. non c’è un piano per lo sviluppo dell’e-commerce) e nella società (es. è ancora in fase di impostazione il programma nazionale per lo sviluppo delle competenze digitali nella popolazione);
la prevalenza della cultura umanistica su quella scientifica e tecnologica, che ha relegato e attualmente relega gli operatori della seconda in un cono d’ombra (economico, di visibilità, di potere) e che continua a relegare la visione e la progettazione dello sviluppo dei servizi sul web in un ambito prettamente tecnico-informatico e non ampiamente progettuale, con il risultato che i servizi oggi disponibili seguono spesso procedure non citizen-oriented e anche dal punto di vista della fruibilità ricalcano la logica di chi li realizza e non di chi dovrebbe fruirne;
le caratteristiche del mercato del lavoro, che Laura Sartori declina in questi termini ”Il nostro mercato del lavoro ha caratteristiche particolari relative alla concentrazione di piccole (e medie) imprese.
Anche prima di internet,  le ricerche sui livelli d’istruzione avevano sottolineato come ci fosse una scarsa domanda di lavoratori qualificati dovuta proprio alla ticipità della piccola impresa.
Al contrario di quanto accade in contesti dove prevalgono le grandi (ma anche medie imprese) dove si richiedono titoli di studio formali e più elevate capacità, le piccole imprese non “spingono” la propria domanda verso figure professionali qualificate.
Questo esempio calza a pennello anche quando si parla di Internet e di competenze digitali”.
Infatti, da un confronto europeo su rilevazioni Eurostat (2012) emerge chiaramente come le imprese italiane (10-49 addetti) non richiedano specifiche competenze relative a Internet.
Ad esempio, nel 2011 solo il 7% delle imprese ha richiesto esplicitamente ai suoi dipendenti di acquisire competenze digitali attraverso corsi (nel 2005 lo ha però fatto il 9% delle aziende).
Se poi guardiamo ai social media, si nota come solo il 19 per delle aziende usa i social media per lo sviluppo e la promozione della propria immagine (contro il 22 della Spagna, il 27 della Grecia, il 32 dell’Inghilterra e il 36% di Irlanda e Olanda).
D’altro canto, solo il 4% delle imprese italiane ricorre ai social media per il dialogo e la collaborazione con altre aziende dello stesso settore e con le istituzioni pubbliche (contro l’8% della Spagna, il 13% dell’Inghilterra e il 21% dell’Olanda.
Molte di queste problematiche non sono dissimili da quelle che causano un ritardo ancora significativo sui tassi di analfabetismo italiano rispetto agli altri Paesi evoluti.
De Mauro sintetizzava i problemi relativi alle “radici profonde dell’analfabetismo italiano:

  • Ancora negli anni cinquanta il paese viveva soprattutto di agricoltura e poteva permettersi di avere il 59.2 per cento della popolazione senza titolo di studio e per metà totalmente analfabeta (come oggi il 5 per cento). 
  • Fuga dai campi, bassi costi della manodopera, ingegnosità [..] lo hanno fatto transitare nello spazio di una generazione attraverso una fase industriale fino alla fase postindustriale.   


Nonostante gli avvertimenti di alcuni (da Umberto Zanotti Bianco o Giuseppe Di Vittorio a Paolo Sylos Labini), l'invito a investire nelle conoscenze non è stato raccolto né dai partiti politici né dalla mitica "gente".
Secondo alcuni economisti il ristagno produttivo italiano, che dura dagli anni novanta, è frutto dei bassi livelli di competenza.
Ma nessuno li ascolta; e nessuno ascolta neanche quelli che vedono la povertà nazionale di conoscenze come un fatto negativo anzitutto per il funzionamento delle scuole e per la vita sociale e democratica”.
Se lo sviluppo delle competenze digitali è un requisito essenziale della società della conoscenza, è chiaro come il suo percorso nel nostro Paese non sia particolarmente agevolato.

Un sistema di interventi organico e “dal basso” 

Naturalmente una situazione così composita necessita di un sistema di interventi che prenda in considerazione tutte le diverse cause, agendo però secondo un doppio livello top-down e bottom-up che valorizzi e stimoli la proattività della popolazione, dove top-down significa che l’iniziativa viene sviluppata da parte delle istituzioni centrali per essere co-progettata in modo multistakeholder e però guidata centralmente, e bottom-up vede un ruolo essenzialmente di piattaforma, di facilitazione e di coordinamento da parte delle istituzioni rispetto allo sviluppo di iniziative territoriali.
Ed in particolare:
con un approccio top-down per la definizione del contesto programmatico complessivo, e per la costruzione delle condizioni politiche e legislative per il superamento delle barriere di interessi contrapposti;
con un approccio bottom-up e orizzontale per lo sviluppo delle iniziative concrete e capillari di alfabetizzazione digitale.
È su questi principi che si stanno indirizzando i lavori del Piano Nazionale per la cultura, la formazione e le competenze digitali  (promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale) rispetto alle competenze di base e alla cittadinanza digitale,  facendo tesoro delle esperienze di organizzazioni no-profit e delle Regioni che in questi mesi stanno collaborando all’elaborazione del Piano. 
Con la convinzione che il tema della cultura, dell’istruzione, delle competenze digitali debba diventare rapidamente priorità fondamentale dell’azione politica italiana. Sulla base di una visione di futuro della nostra società.
[1] Unione Europea, Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, (2006/962/CE)

Precisazioni su abilità informatiche e competenze digitali

Lo spazio obbliga a sintesi.

* c'è una differenza significativa e fondamentale tra abilità informatiche e competenze digitali;
* saper usare il computer per le funzionalità di base rientra tra le abilità informatiche, saper navigare su Internet pure;
* si può andare su Internet anche senza saper usare un computer, è un insieme vuoto il viceversa (chi sa usare un computer e non sa andare su Internet);
* poiché parliamo di competenze digitali, come riprese dall'articolo, entrambe le abilità informatiche sono necessarie come abilità di base. Ma non sono sufficienti.

Però certamente il tema è da sviluppare anche in termini di azioni necessarie per lo sviluppo delle competenze digitali.
In questo senso è importante l'iniziativa Agid che ti invito a seguire http://www.agid.gov.it/competenze-digitali
La percentuale di chi usa il computer e non va su internet è prossima allo zero, per cui è giusto ritenere che ''le due abilità informatiche di base siano trattabili insieme"  sia un sillogismo errato.
Le frequenze dei due comportamenti coincidono, ma non c'è rapporto di causa-effetto, in nessun senso.

Qualche precisazione

* la percentuale di chi usa il computer e non va su internet è prossima allo zero, per cui le due abilità informatiche di base (non parliamo di competenze digitali, che sono ad un livello superiore) sono trattabili insieme;
* per lo stesso motivo di prima, andare su Internet è una delle prime motivazioni per l'uso del computer. Di conseguenza la presenza di banda è una delle condizioni abilitanti (naturalmente non sufficienti);
* naturalmente il problema è complesso, ma appunto il focus è qui sull'alfabetismo funzionale, base necessaria per l'esercizio della cittadinanza e per le competenze digitali per il lavoro;
* uno dei problemi principali dell'Agenda Digitale italiana a mio avviè che non esiste in modo completo e organico;
* il tema qui affrontato è solo l'analfabetismo digitale e no il tema generale dell'Agenda Digitale.

Definire l'analfabeta digitale per la persona che non utilizza Internet è clamorosamente riduttivo e rischia di falsare la prospettiva dalla quale porsi il problema.
Il resto dell'analisi è fondamentalmente condivisibile, ma se ci dimentichiamo che le competenze digitali di base riguardano l'uso del computer (e non di Internet!), rischiamo di curare i sintomi e non le cause.
Mi preoccupa anche il fatto che la mancanza di infrastrutture digitali venga citata come prima causa di tale analfabetismo: a mio parere qui stiamo confondendo cause ed effetti.
Non basta mica portare la banda "ultralarga" (che definizione risibile, poi) alla popolazione per creare alfabetizzazione digitale, anzi!
Il peccato originale dell'Agenda Digitale è proprio quello di dimenticarsi che le carenze italiane sono ben altre:
  • le infrastrutture FISICHE (comunicazioni su strada, ferrovia, aereo);,
  • le POSTE, sono del tutto insufficienti a supportare un'economia digitale;
  • l'istruzione superiore e universitaria è allo sbando, e ormai da anni ha come scopo non quello di formare eccellenze ma di sfornare laureati a qualunque costo.

Poi potete continuare a ridurre tutto all'"aumento dell'utilizzo di Internet", ma così facendo state guardando al dito e non alla luna.

APPENDICE 

Agenda Digitale: ecco tutti i ritardi del Governo
A quasi un anno dall'adozione dei decreti del Governo Monti, poco o nulla è stato fatto per la loro concreta implementazione. Al via un’iniziativa di Agendadigitale.eu per monitorare l’adozione di decreti attuativi e regole tecniche
Agenda digitale italiana: lo stato dell'arte tra decreto e altre norme Dl Crescita 2.0 diventato legge.
Misure già avviate per la Pa digitale, nelle tre priorità fatturazione elettronica, identità digitale e anagrafe unica. Il Piano nazionale banda larga e banda ultra larga.

Ecco come sta per cambiare l'Italia grazie alla spinta politica nell'innovazione (aggiornamenti in progress. 
  • Unità di Missione per l'Agenda Digitale
  • Come funzionerà il sistema di identità digitale italiano
  • Tutto quello che c'è da sapere su uno dei pilastri dell'Agenda digitale, raccontato da uno dei principali artefici.
  • I cittadini si procureranno l'identità digitale presso uno degli appositi Gestori
  • Tre i livelli di sicurezza. Entro giugno il decreto
  • Unità di Missione per l'Agenda/Agenzia delle Entrate
  • Anagrafe nazionale, a che punto siamo
  • Entro maggio-giugno dovrebbe essere emanato il decreto per l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, che sarà ultimata a giugno 2015.
  • E' già nato da qui un modello di riferimento per altre banche dati di interesse nazionale, a partire dall'Anagrafe degli assistiti. Aggiornare e gestire questo modello sarà compito dell'Agenzia per l'Italia digitale
  • Unità di Missione per l'Agenda/Agenzia delle Entrate
  • Fattura elettronica, la roadmap 2014-2015
  • (Aggiornato 14 gennaio) In Italia i lavori andranno spediti, con il supporto anche delle Regioni.
  • L'intervento del capo settore Processi e sistemi Ict dell’Agenzia delle Entrate e componente del Nucleo di supporto per la Programmazione il monitoraggio degli interventi in materia di Agenda Digitale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
  • Piano governativo banda larga: stato dell'art.4 Agendadigitale.eu ottiene lo stato dei bandi presenti e futuro per i fondi pubblici con cui l'Italia intende colmare il digital divide banda larga e costruire una rete banda ultra larga nelle zone di fallimento di mercato. Siamo a metà del guado.
Riassunto di EF tratto da mondo digitale

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Cosa sono le P.M.I.

La politica viene costantemente svolta da persone competenti in moltissimi argomenti, ma molto spesso ignare delle realtà delle imprese. Le P.M.I. sono le Piccole e Medie Imprese che sostengono larga parte dell'economia della Società e delle Città.
Senza le P.M.I. non ci sarebbe forse nulla da governare perché non ci sarebbero i fondi necessari a sostenere il bilancio Nazionale ed Europeo. Le P.M.I. costituiscono parte importante dell'economia reale, e senza di loro non sussisterebbero nè grandi Industrie nè banche, nè quindi servizi sociali, organi pubblici, nè Stato. Chi vuole svolgere bene la carriera politica deve conoscere la realtà economica di un'impresa ma spesso crea solo questionari per i commercianti, camere di commercio inefficienti, sistemi di tassazione usurari, complicati e insostenibili, tribunali di giustizia iniqui, e assenza della tutela d'ufficio del credito attivo e passivo delle P.M.I.. Lo scopo di questo sito è riformare la considerazione delle P.M.I. nella classe politica. Se sei un imprenditore con partita i.v.a. qui sei il benvenuto e qui puoi fornire le tue richieste che verranno raccolte in modo sistematico per formare un programma di riforme inderogabili ed urgenti per la tutela della tua realtà lavorativa, che è quella che supporta l'economia di base, ma spesso viene ignorata, sfruttata iniquamente, mortificata, umiliata dalle caste dei poteri forti che restano ignari di questi valori. Facciamo massa critica e attiviamoci per definire le nostre necessità. Cavalchiamo la storia adesso. EF