sabato 16 agosto 2014

Richiamiamo la Merkel all'ordine: la Germania ci sta truffando.

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17 Agosto 2014
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8/07/2014
I cinque trucchi con cui la Germania bara sui conti
Banche pubbliche, debiti dei Comuni, rispetto delle regole: sono i più bravi o solo i più furbi?
Francesco Cancellato

 
Sean Gallup/Getty Images
Sean Gallup/Getty Images
 
Parole chiave: ITALIA / GERMANIA / UNIONE EUROPEA / MERKEL
Argomenti: EURO E BCE
INDICE ARTICOLO
Il primo trucco: la sottile differenza tra Cdp e Kfw
Il secondo trucco: pareggio di bilancio a tre velocità
Il terzo trucco: lo Stato nelle banche
Il quarto trucco: la Bundesbank «raccatta-titoli»
Il quinto trucco: potere, potere, potere
Non è stato un giorno qualunque, lo scorso 2 luglio: mentre il premier Italiano Matteo Renzi presentava le linee programmatiche del semestre italiano di Presidenza Ue al Parlamento europeo, trovandosi a dover rispondere alle critiche del capogruppo del Ppe Manfred Weber sui conti pubblici dell'Italia e sulla sua inopportuna richiesta di maggior flessibilità sulla linea del rigore, in Germania il consiglio dei Ministri approvava il piano del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble per raggiungere il pareggio di bilancio federale nel 2015. Uno smacco, questo, che si somma al già consistente complesso d'inferiorità dell'Italia nei confronti dei tedeschi: più rigorosi, più efficienti, più competitivi, più onesti. In ultima analisi, molto più bravi e meritevoli di noi.
Domanda innocente: è davvero così? Sì e no. O meglio: che i tedeschi sappiano badare ai loro interessi meglio di noi è fuori discussione; che non sprechino denaro pubblico in mille inutili rivoli, pure; che abbiano imprese che trainano l'economia meglio di una nave rimorchio, anche. Tuttavia, è vero che la differenza tra i nostri e i loro risultati è anche l'effetto di alcuni trucchetti – se così si possono chiamare – che ampliano il divario tra i nostri e i loro bilanci e, soprattutto, tra la nostra e la loro economia, ben oltre i reali valori e meriti. Beninteso, (quasi) tutto perfettamente legale e ben noto nella cerchia degli addetti ai lavori. Forse, fuori da quella cerchia, non abbastanza. Per questo vale la pena di provare a spiegarle per bene, di nuovo.
Il primo trucco: la sottile differenza tra Cdp e Kfw
In Italia c'è la Cassa Depositi e Prestiti (Cdp), in Germania la Kreditanstalt für Wiederaufbau, la Banca per la ricostruzione (post-bellica), per gli amici Kfw. Entrambe sono di proprietà pubblica: la Cdp è all'80,1% del Ministero dell'Economia e delle Finanze, per il 18,5% delle fondazioni bancarie e per l'1,5% di azioni proprie. La Kfw è al 80% di proprietà del governo federale e al 20% dei diversi lander (l'equivalente delle nostre regioni, ndr) in cui è suddiviso il territorio tedesco. Entrambe, per finanziarsi, emettono dei titoli. La Cdp sottoforma di obbligazioni, la stragrande maggioranza delle quali coperte da garanzia statale. La Kfw, pure, emettendo titoli a tassi bassissimi grazie al doppio filo che la lega al governo tedesco e ai suoi affidabilissimi Bund.
La Kfw è pubblica ma i suoi debiti, per la contabilità tedesca, non sono debito pubblico
La Cdp raccoglie ogni anni circa 320 miliardi di euro, la Kfw circa 500 e li reinveste concedendo prestiti a tassi irrisori alle piccole e medie imprese e controllando ingenti quote del capitale di colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. C'è solo una piccola differenza: i 300 miliardi di debito contratto dalla Cdp coperto da garanzia statale entra nel conteggio del debito pubblico italiano. I 500 miliardi di euro della Kfw invece no. Il motivo è una regola contabile dello Stato tedesco che esclude dal debito pubblico le società pubbliche che si finanziano con pubbliche garanzie ma che coprono la metà dei propri costi con ricavi di mercato e non con versamenti pubblici, tasse e contributi. Regola alquanto discutibile: la proprietà di Kfw è pubblica, la sua vigilanza non è deputata alla Bundesbank (la banca centrale tedesca, ndr), ma al ministero delle Finanze, i suoi tassi sono diretta conseguenza di quelli dei Bund e se avesse problemi sarebbe lo Stato a intervenire. Facciamo i conti della serva: 500 miliardi di euro sono pari a circa un quarto dei 2080 miliardi complessivi del debito pubblico tedesco. Se li sommassimo otterremmo un debito pubblico tedesco che dal 78,4% arriverebbe a lambire il 97% del Pil. Comunque lontano, ma un po' più vicino al nostro 132,6 per cento.
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Il secondo trucco: pareggio di bilancio a tre velocità
In Italia, è cosa nota, dovremo rispettare il principio del pareggio di bilancio a partire dal 2015. Il ministro Padoan ci ha provato a chiedere una proroga al 2016, ma è stato seppellito dalle pernacchie. Tedesche, in primis. Strano: perché in Germania invece questo obbligo ha due velocità. Anzi, a dire il vero, tre. Già, perché la Germania è uno Stato federale, formato da sedici lander. Ognuno dei quali con la propria contabilità, il proprio bilancio, la propria capacità di raccolta fiscale e piena facoltà di indebitarsi. Già, perché anche i lander, nel loro piccolo s'indebitano. Oddio, "piccolo": degli oltre duemila miliardi di debito tedesco, più di 600 sono da imputare a lander ed enti locali.
Per i Comuni tedeschi, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge
Prima differenza non da poco: se lo Stato tedesco dovrà obbligatoriamente raggiungere il pareggio di bilancio nel 2016, i lander potranno prendersela comoda, avendo tempo fino al 2020. Non solo, dicevamo: perché nulla si dice, in Germania, di cosa dovranno fare gli enti locali, il cui debito è pari circa al 6% del totale. Per loro, a quanto pare, il pareggio di bilancio non è obbligo di legge e molti di loro sono sovraindebitati: il record è di Oberhausen, nella Ruhr, il cui debito comunale è pari a 6.900 euro per abitante. Situazione, ne converrete, «leggermente» diversa rispetto a quella dei nostri Comuni, letteralmente strozzati dal patto di stabilità interno, strumento che impone a tutte le articolazioni locali dello Stato di partecipare agli obblighi di finanza pubblica che ci chiede l'Europa. Ah, dimenticavo: indovinate chi è uno dei principali creditori degli enti locali tedeschi? Esatto, la Kfw.
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Il terzo trucco: lo Stato nelle banche
Al netto della Cdp, in Italia tutte le banche sono in mano a investitori privati. In Germania invece il 45% del sistema bancario è in mano al settore pubblico. Il caso più famoso è quello della Commerzbank, una delle principali banche tedesche, nel quale lo Stato partecipa con una quota del 17%, ma vi sono molte altre realtà del credito con una forte presenza del pubblico nella compagine azionaria. Prime fra tutte le Landersbanken, le banche regionali tedesche. Sono sei, sono tutte pubbliche, sono gestite con criteri politici e, soprattutto, non sono esattamente dei nani della finanza: LbBerlin, la più piccola, ha attività per 130 miliardi di euro; la più grande, la Lbbw, 337 miliardi – una volta e mezzo il Monte dei Paschi di Siena, tanto per essere chiari, ed è la quarta banca del Paese. Da qualche anno si parla della crisi delle Landesbanken e dei 637 miliardi di attività deteriorate che hanno in pancia, soprattutto a causa del fatto che nel 2008, quando scoppiò la crisi finanziaria, erano imbottite di mutui subprime.
In Germania, quasi la metà del sistema bancario è in mano al pubblico
L'effetto complessivo, al netto della crisi di queste banche regionali, è quello di un sistema del credito che gioca in stretta sinergia con gli obiettivi di finanza pubblica del governo centrale. Facciamo un esempio: poniamo che la Germania voglia esercitare una forte pressione competitiva su un Paese concorrente e sulle sue imprese. Per farlo, potrebbe decidere di vendere in blocco tutti i titoli di stato di quel paese detenuti dalle banche di cui è azionista. I tassi d'interesse dei titoli di stato di quel Paese, come conseguenza, si alzerebbero immediatamente, e le imprese di quel Paese si troverebbero a dover pagare il denaro molto più caro, ammesso e non concesso che riescano ad accedere al credito. In un contesto continentale in cui anche una pacca sulla spalla rischia di essere sanzionata come aiuto di stato appare strano che nessuno mai si sia accorto di tale, piuttosto evidente, anomalia.
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Il quarto trucco: la Bundesbank «raccatta-titoli»
Il Sole 24 Ore dice che «ormai si può parlare di prassi»: nella seconda metà di maggio, un paio di mesi fa, quindi, la Bundesbank ha ripetuto per ben due volte quello che possiamo senza timore di smentite definire come il quarto trucchetto tedesco: in parole povere, se c'è un'asta di Bund e parte dei titoli non viene comprata sul mercato primario – quello in cui ogni Stato colloca in prima battuta i propri titoli di debito, con accesso riservato a grandi fondi e banche internazionali – la banca centrale tedesca se li compra (o, meglio, li «congela») e li ricolloca successivamente sul mercato secondario. In questo modo, evita che i tassi si alzino e che i Bund perdano valore. So cosa vi state chiedendo: perché noi non lo facciamo? Semplice, perché non si può fare. L'articolo 101 del Trattato di Maastrich vieta l'acquisto sul mercato primario di titoli di Stato da parte delle banche centrali.
La Germania lo fa, noi no. Perché? Perché non si può fare
Testuale: «È vietata la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Bce o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate «banche centrali nazionali»), a istituzioni o organi della Comunità, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte del

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La politica viene costantemente svolta da persone competenti in moltissimi argomenti, ma molto spesso ignare delle realtà delle imprese. Le P.M.I. sono le Piccole e Medie Imprese che sostengono larga parte dell'economia della Società e delle Città.
Senza le P.M.I. non ci sarebbe forse nulla da governare perché non ci sarebbero i fondi necessari a sostenere il bilancio Nazionale ed Europeo. Le P.M.I. costituiscono parte importante dell'economia reale, e senza di loro non sussisterebbero nè grandi Industrie nè banche, nè quindi servizi sociali, organi pubblici, nè Stato. Chi vuole svolgere bene la carriera politica deve conoscere la realtà economica di un'impresa ma spesso crea solo questionari per i commercianti, camere di commercio inefficienti, sistemi di tassazione usurari, complicati e insostenibili, tribunali di giustizia iniqui, e assenza della tutela d'ufficio del credito attivo e passivo delle P.M.I.. Lo scopo di questo sito è riformare la considerazione delle P.M.I. nella classe politica. Se sei un imprenditore con partita i.v.a. qui sei il benvenuto e qui puoi fornire le tue richieste che verranno raccolte in modo sistematico per formare un programma di riforme inderogabili ed urgenti per la tutela della tua realtà lavorativa, che è quella che supporta l'economia di base, ma spesso viene ignorata, sfruttata iniquamente, mortificata, umiliata dalle caste dei poteri forti che restano ignari di questi valori. Facciamo massa critica e attiviamoci per definire le nostre necessità. Cavalchiamo la storia adesso. EF